The Zone: interviste e report

Articolo apparso su mescalina.it a cura di Nadia Merlo Fiorillo

FONTE:mescalina.it

Secondo anno per la rassegna “Non Luoghi Musicali” presso il Centro Commerciale Campania di Marcianise (Ce). Dopo la prima edizione, che si è tenuta nel 2012, questa volta si replica con una produzione sui generis, creata ad hoc e commissionata su misura per NLM 2014, con l’intento di dar forma a un ibrido geo-artistico dalla connotazione fortemente sperimentale. Noi siamo andati a curiosare nella Zona, spettacolo/opera per percussioni, fiati, synth e voce del compositore Daniele Del Monaco, trovandoci invischiati in un’esperienza a dir poco stupefacente per maestria esecutiva e per genialità compositiva. Qui proviamo a raccontarla, ben sapendo che ogni sensazione suscitata da questo live eccede una sua dettagliata comunicabilità. Anche per questo abbiamo pensato di approfondire la genesi e la progettazione di una produzione tanto ambiziosa, quanto riuscita, parlandone con Daniele Del Monaco e con Valerio Borgianelli Spina. Andando oltre l’argomento The Zone, si è chiarito quali possono essere oggi gli ambiti e le possibilità della musica sperimentale e cosa vuol dire ospitarla in un non-luogo musicale come uno Shopping Center.

Chiariamoci subito su un punto, che a ben vedere contiene al suo interno un’evidente differenza: esistono dei luoghi che sono musicali, in cui per convenzione, per tradizione e per qualità tecniche si esegue e si ascolta musica.
Di conseguenza, esistono anche luoghi non musicali, che non si prestano all’esecuzione e all’ascolto dell’arte dei suoni.

Una sala da concerto, un teatro ma anche una Chiesa non sono una pista di atterraggio, né la Borsa di New York ed è un dato innegabile.
Ciò significa che i luoghi non musicali sono luoghi in cui si fa altro dalla musica.

E i luoghi in cui si fa propriamente qualcosa ma anche musica che cosa sono?
Evidentemente, luoghi che perdono in maniera temporanea  la loro destinazione e la loro “topicità”, per diventare musicali.
Sono, quindi, non-luoghi musicali.
Un salotto che ospita musica da camera o un palazzetto dello sport o “Il treno di John Cage” sono non-luoghi musicali, esattamente come può esserlo oggi un centro commerciale.

E proprio il Centro Commerciale Campania, avamposto dello shopping e delle marce sulla merce che si consumano da qualche anno nella periferia industriale casertana, ospita la rassegna musicale intitolata guarda caso “Non Luoghi Musicali”, giungendo alla sua seconda edizione, dopo una prima prova (2012) sancita da un ottimo successo di pubblico. Ma a differenza della prima, che ha visto alternarsi in dimensione live nomi più che noti della musica italiana d’autore e jazz, l’edizione 2014 è stata eretta intorno a un perno originale e originario: la commissione di opere inedite prodotte ad hoc, che rispondono in pieno alla paradossalità di tutta l’operazione, che ha voluto probabilmente opporre alla standardizzazione e all’anonimato di uno spazio commerciale l’unicità e la singolarità di creazioni artistiche a loro modo estranianti.

Uno degli appuntamenti di quest’anno, nato dalla collaborazione tra il compositore Daniele Del Monaco e il produttore/ideatore dei “Non Luoghi Musicali”, Valerio Borgianelli Spina, ha accostato sperimentazione musicale e ispirazione cinematografico-letteraria nello spettacolo The Zone, liberamente tratto dallo Stalker tarkovskijano e dalla Conferenza degli uccelli di Attar, e ha messo insieme, in un evento straordinario quanto performativo, i percussionisti del Laboratorio Creativo Permanente di Roma e due figure d’eccezione della musica mondiale: Blixa Bargeld e il virtuoso del Kaval, Theodosii Spassov.

Per chi ha assistito al live si è trattato di un’esperienza unica, la cui rarità è uscita non solo più amplificata nel contrasto con una location artefatta  e ordinaria, ma anche più esaltata dalla natura eretica di tutta l’operazione messa in piedi.
7 canzoni, come le 7 valli che gli uccelli di Attar devono attraversare per raggiungere il divino, 7 momenti musicali dall’impatto esorbitante e contagiosamente dissociativo, durante i quali si è rimasti percossi dagli strumenti e derealizzati dal fascino rumoristico delle esecuzioni, esaltate dalle dissonanze ambient di Spassov e dalla ieraticità composta della timbrica profonda di Bargeld.

The Zone è stato un vero e proprio spazio sinfonico di interazioni emotive, veicolate da uno spettro estetico multidimensionale: la cinetica somatica dei percussionisti, la gestualità direttiva e la concentrazione esecutiva di Del Monaco, la mimica sonora di Spassov e l’espressività gutturale di Blixa hanno realmente “dato corpo” all’emissione musicale, iniettando un’ebbrezza partecipativa, sia fisica che emozionale, assolutamente totalizzante.
Forse solo il distacco percepito di Bargeld ha ridotto un po’ i toni di un ensemble perfetto in ogni suo momento espressivo, ma a dire il vero è servito a misurare ancor più la differenza fra l’incredibile umiltà di un musicista che si sente al servizio della sua arte e chi mette la propria arte al servizio del suo ego.

Insomma, quella che, anche etimologicamente, è un’u-topia, grazie a Daniele Del Monaco, ai suoi compagni di palco e a Valerio Borgianelli Spina è diventata una realtà musicale magistralmente pensata, organizzata e realizzata. Una realtà che resta, come è stata nelle sue intenzioni, prassi musicale rivoluzionaria e destrutturante un certo modo ortodosso di fare musica “colta”.

Resta a latere ogni considerazione sul perché in Italia questo genere di produzioni non siano ospitate dove ci si aspetterebbe lo fossero e magari in un’occasione diversa si potrà meglio indagare.
Non resta per niente a latere il perché un’operazione del genere sia stata possibile in un centro commerciale e ne abbiamo parlato, tra le altre cose, sia con Daniele Del Monaco, che con Valerio Borgianelli Spina in queste due interviste.

Intervista a Daniele Del Monaco, compositore e Direttore Artistico del Laboratorio Creativo Permanente di Roma

Mescalina: Come nasce The Zone e a quali ispirazioni risponde?

DDM: Lo spettacolo nasce dalla collaborazione fra me e Valerio Borgianelli, produttore e ideatore del festival Non Luoghi Musicali. Io e Valerio condividiamo – ognuno a suo modo – l`interesse per la sperimentazione. Questo comune intento ha reso possibile l`esperienza di The Zone.

Ancora non ci capacitiamo di aver prodotto uno spettacolo con Blixa che canta una versione della Conferenza degli uccelli ispirata a Stalker di Tarkovskij, accompagnato dal pioniere del Kaval contemporaneo – un musicista unico che si è inventato di sana pianta un nuovo modo di reinterpretare la tradizione – assieme a un gruppo di cinque percussionisti anch`essi con personalità diverse, che suonano delle mie canzoni…in un centro commerciale. Confesso che tutti e due non avevamo un`idea precisa di come sarebbero andate le cose, ma ambedue intuivamo le potenzialità dell`intreccio culturale che stavamo per portare alla luce.  In questo progetto ognuno è uscito leggermente dal ruolo che gli spettava: era quello che volevamo e  sembra che l`alchimia abbia avuto un suo senso compiuto. Sono molto contento: poteva essere un disastro.

Lo stimolo di partenza è partito da Valerio che voleva organizzare una serie di collaborazioni tra compositori e frontman.

Ho ritenuto che con Blixa mi sarei potuto permettere un`ampia libertà linguistica ma non me la sono sentita di affrontare la forma-canzone nel senso convenzionale del termine, poiché sapevo che i tempi di produzione sarebbero stati davvero stretti. Ho optato quindi per delle forme più prosaiche, secondo me più facili da realizzare, sempre riconducibili al modello della canzone, ma più lunghe (circa 8/10 minuti). Sette canzoni per una sorta di concept album.

La Zona di Tarkovskij e dei fratelli Strugackij è il non-luogo per antonomasia e già da qualche tempo avevo in mente di raccontare quella storia. Per una realizzazione musicale mi serviva tuttavia un intreccio più definito, qualcosa che rendesse più dinamiche, soprattutto sul piano narrativo, le riflessioni filosofiche del film. Ho pensato quindi al testo di Attar per un possibile sviluppo narrativo dell`immaginario legato a Stalker.

Mescalina: Quali caratteristiche dovevano avere nelle tue intenzioni i due solisti e perché la scelta è caduta su Blixa e Theodosii?

DDM: Sono ambedue pionieri nel loro campo, due modelli d`indipendenza.

Ho intravisto in Blixa quel barlume di pensiero dadaista evocato dalle riflessioni dello scrittore di Stalker. Il suo atteggiamento burbero, la sua astrattezza, il distacco, un certo cinismo, erano perfetti per il mio Stalker:

Look at the Stalker,

he is arude man

he is quiet,

arid,

no ideals,

no wishes,

no hope.

Empty bag,

thousand hearts

to burn.

Come per il testo, anche per la musica ho voluto giocare sulla complessità e se Tarkovskij era stato associato ad Attar, avevo bisogno di introdurre un elemento analogo nella musica, che subentrasse nel lessico contratto e risoluto di Blixa. Chi mai come Spassov poteva rappresentare, seppure in una particolare versione orfica, l`elemento taumaturgico ed ultraterreno del mondo di Attar?

spartan warrior
challenge the boar
in the sad valleys

Con il profeta tedesco da una parte e l`eroe dei Balcani dall`altra ci siamo finalmente sentiti pronti per affrontare la Zona.
In questa produzione il ruolo d`ognuno ha avuto un peso determinante, a partire dall`atteggiamento provocatorio e costruttivo di Blixa, la nobilità profonda di Theodosii, l`energia dei percussionisti più giovani e la caratura dei più esperti.

Durante lo spettacolo, il momento di maggior disimpegno sul piano dell`ascolto è la sesta canzone, What am I doing here?: una ballad in fa minore, resa tragica dalla rumoristica di Marco Ariano. Penso che sia la stessa domanda che si sono posti Blixa e Spassov sul palco assieme e parte del pubblico e noi di LCP. La cosa mi fa sorridere ma la trovo anche molto bella e penso che sia l`elemento centrale del rito che abbiamo inscenato.

Mescalina: Il tuo background musicale come lo hai calibrato all’interno di un progetto che sapevi destinato a un pubblico più orientato all’ascolto del rock? 

DDM: Sono riconoscente a Blixa e a Theodosii che hanno aperto alcune strade che prima di loro erano state poco battute e che io ho tentato di percorrere con qualche deviazione. Per il resto non ho cambiato di una virgola il mio modo di lavorare.

Mescalina: Non ti ha spaventato l’idea di proporre una tua composizione all’interno di un centro commerciale e che bilancio tiri, a cose ormai fatte?

DDM: Mi sono divertito e ho mangiato ottime mozzarelle.
Il pubblico è stato accogliente e ricettivo. Valerio mi ha dato la possibilità di rivolgermi alla platea dandomi carta bianca sulla maggior parte delle scelte produttive.
Ho avuto l`impressione di potermi rivolgere direttamente al pubblico senza la mediazione istituzionale di una direzione artistica.  Trovo tutto ciò decisamente rivoluzionario, nel quadro di un paese soffocato dalla cristallizzazione dei poteri e dei saperi.

Mescalina: Credi che la musica debba avere dei luoghi deputati al suo ascolto?

DDM: Non lo so. Non sono un grande ascoltatore di musica e per pigrizia frequento pochi concerti. Mi piace suonare assieme ad altri musicisti, comporre musica oppure semplicemente leggerla. Spesso mi isolo nello studio al pianoforte della polifonia…ognuno ha le sue perversioni.
Ovviamente ogni luogo ha la sua sacralità, ma è anche vero che i luoghi eccessivamente frequentati da artisti finiscono per perdere il loro spirito, per lasciare spazio alla burocrazia dell`edonismo, al pensiero debole.
Al Centro Campania ci siamo sentiti totalmente esposti al rischio: il pubblico avrebbe potuto fischiarci oppure osannarci, con la stessa probabilità. Ciò dipendeva da noi, anche perché era chiaro anche al pubblico che Blixa era lì con noi per un marchettone ben pagato. La possibilità di relazionarmi con un pubblico così critico ha rappresentato per me il fattore più esaltante di questa esperienza.

Mescalina: Qual è in Italia il futuro per un compositore che non vuole confinare la sua produzione agli ambiti accademici? All’estero vedi possibili delle prospettive differenti e perché?

DDM: Spero che il futuro per un compositore in Europa sia più dignitoso del presente.
Il nostro è un paese molto conservatore, in cui la mobilità sociale avanza a rilento e solitamente attraverso meccanismi di sussunzione. Lo stesso accade nel processo culturale e noi musicisti ci sentiamo spesso umiliati  dalla prepotenza di organizzazioni che fanno leva esclusivamente sul potere che rappresentano e traggono risorse dallo schema di servilismo che ne consegue. Spesso queste organizzazioni, nonostante ricevano finanziamenti pubblici, fanno riferimento a qualche capo-clan carismatico che assume il ruolo di mediatore del processo culturale senza rendersi conto di essere lui stesso una pedina. Le stesse organizzazioni non hanno una struttura professionale e sfruttano la debolezza di stagisti sottopagati, di organizzatori improvvisati oltre che il servilismo degli artisti stessi.
Penso tuttavia che in qualsiasi campo produttivo esista la necessità di una fase sperimentale e di una fase riflessiva. Altrimenti si finisce col venire rimpiazzati da fenomeni culturali più sostanziosi e meno arroganti.

Viviamo nell`epoca del nuovo manierismo. Con l`avvento del capitalismo cognitivo (ie. general intellect), assistiamo allo sgretolamento progressivo del ruolo taumaturgico dell`opera, che assume in maniera sempre più marcata le sembianze della quotidianità, gettandoci in una lotta fratricida che tende a spezzare i legami comunitari e a metterci in competizione gli uni con gli altri. Dopo che gli amanti della musica e delle arti si sono trasformati in “consumatori” è nata una nuova categoria di consumatori: gli artisti stessi. Oggi tutti si sentono in qualche modo artisti e ciò non è necessariamente un bene. Facebook e i social networks sono la rappresentazione plastica di questo processo: un contesto apparentemente democratico in cui ognuno crede di essere libero ma dove tutti sono schiavi della stessa – mediocre – ossessione di distinguersi dagli altri. La società post-fordista è una società schiava del desiderio: è come se vedessimo oggi realizzate le intuizioni distopiche di Debord in La Société du Spectacle.

Per tornare alla tua domanda, sono dell`avviso che un`opera che non interagisce dinamicamente col contesto in cui viene proposta sia un`opera “poco riuscita”. Ciò che ne rimane, in quel caso, è solamente la componente di aggressività che è insita in ogni opera d`arte e che solitamente ha la funzione di rappresentare un codice di appartenenza sociale, nel caso della musica d`arte del contesto accademico: l`ideologia borghese. Ritengo tuttavia che si possa legittimamente mettere in conto l`eventualità del fallimento di un`opera quando ci si muove in un ambito sperimentale, l`importante è esserne consapevoli ed evitare l`arroganza di attribuirne la colpa all`ignoranza del pubblico. Non dico questo per mettere le mani avanti essendo la nostra una musica “di ricerca”, ma perché  osservo il delinearsi di una sorta di manierismo sperimentalista che tende a giustificare ogni cosa, ridicolizzando e mettendo sullo stesso piano ogni tentativo poetico. A noi non sta bene la società in cui viviamo e la nostra musica può definirsi sperimentale proprio perché cerca di evocare modelli alternativi di convivenza civile: il meccanismo di relazioni che si è venuto a creare in questa collaborazione strampalata tra me, Blixa, Spassov e i musicisti di LCP è servito da lezione a tutti noi, come un modello di possibile convivenza, a partire dal rispetto dello spazio vitale altrui, rappresentato nel nostro caso dal campo sonoro.

Alla luce di quanto detto vorrei proporre una variante della celebre frase di Blixa “tutto ciò che afferisce alla musica commerciale è reazionario”: ogni atteggiamento manierista è reazionario!

Dal mio punto divista non è tanto significativa la distinzione tra accademico e non-accademico, quanto indipendente o subalterno. In questo senso, torno a ripetere che gli Einstürzende Neubauten sono per LCP un modello, seppur muovendosi su fronti e intenzioni differenti.

Mescalina: Come vedresti una tua collaborazione in ambito prevalentemente rock o pop e in che maniera daresti il tuo apporto a una produzione del genere? 

DDM: Non sarei capace di fare delle composizioni in stile perché non mi interessa. La domanda è quindi da rovesciare: in che maniera un cantante pop potrebbe vedere una collaborazione con me? Sarebbe in grado di fuoriuscire, anche per un attimo, dal suo modo di lavorare?

Il linguaggio utilizzato da The Zone è scaturito dalle persone coinvolte. Io cerco di sfruttare il più possibile il carattere dei musicisti per cui scrivo e tutto il resto lo fanno loro: io mi limito a preparare il terreno, nella speranza che qualcosa accada sul palco.

È ormai per me una prassi, nel mio modo di lavorare, quella di utilizzare elementi stilistici e sondare modelli operativi distanti da me, dalle mie naturali abitudini e dalla mia cultura. Ciò accade sia perché probabilmente non ho ben chiara quale sia una mia collocazione nel mondo ma è anche una sorta di sfida con me stesso, un modo per sondare parti di me che non conosco e per costringermi al rischio, l`elemento più tribale della rappresentazione dal vivo.

Mescalina: Prossimi progetti?

DDM: Ho già detto della mia pigrizia. Continuerò a giocare con la musica da camera nel tentativo di raggiungere un giorno l`indipendenza.

Se nel frattempo qualche abitante di quella assurda zona che è lo star-system avesse la curiosità di collaborare con me e con LCP, posso dire che il ruolo del Cyrano de Bergerac ci calza e ci diverte e noi saremmo entusiasti e divertiti di indossare nuovamente quelle vesti.

Intervista a Valerio Borgianelli Spina, produttore e ideatore di “Non Luoghi Musicali” presso il Centro Commerciale Campania 

 

Mescalina: Quale sfida hai lanciato e a chi, quando ti è venuto in mente di dare corso a una produzione sperimentale come quella di The Zone insieme a Daniele?

VBS: Faccio solo una premessa. Non Luoghi Musicali è un progetto pensato da più menti. Un festival del genere non può e non deve essere a firma di un singolo. In generale non mi ha mai convinto la figura del direttore artistico, infatti in questo festival abbiamo deciso di dar vita a una direzione artistica “esplosa”, composta di molte persone che mettono a disposizione le loro competenze. Una sola persona, per quanto esperta, quanto potrà mai sapere di 1000 anni di musica? E poi c’è una questione di metodo (ne parleremo più avanti): il lavoro di gruppo, se ben gestito, cosa alquanto complessa, porta a risultati migliori. Sempre. Garantito.

Con questo motto aprivamo NLM2012: “Avevamo capito che le diverse esperienze intellettuali si addizionavano piuttosto che contrastarsi. Dunque eravamo relativamente colti e meglio armati di altri per metterci al riparo tanto dalla specializzazione estrema, che è il rifugio degli spiriti timidi, quanto dal vaniloquio generico a cui oggi si da spesso abusivamente il nome di filosofia.” Marc Augè – Straniero a me stesso

[nella scorsa edizione gestivo insieme ai ragazzi anche un blog, ma quest’anno purtroppo non riesco, non ho tempo. Comunque questo era e dovrebbe essere un complemento importante alla rassegna musicale, qui c’è anche spiegato lo spirito della direzione artistica “esplosa” http://www.campaniacollective.it/?m=201110]

Tornando a The Zone, sul piano artistico è una sfida, sul piano della produzione di contenuti non lo è per niente, semplicemente il Centro Commerciale Campania si pone anche come attore attivo nel mondo della produzione artistica. Nel migliore dei mondi possibili dovremmo essere di più. Ci sarebbe molto da parlare su come si finanzia un’iniziativa del genere, qual è il rapporto pubblico/privato in questo tipo di operazioni, quali le motivazioni, ecc., ma rischiamo di andare fuori tema.

Sul piano organizzativo la sfida è per chi lavora a questi progetti e mette a disposizione “impegno” e “fiducia”.  L’impegno, ossia il lavoro dietro a una produzione del genere ti permette di aprire grandi finestre di libertà (il complementare di “fiducia”) in cui gli artisti possono esprimersi a pieno. Quando conosci i tuoi interlocutori e sai come aiutarli nel loro processo artistico (ad esempio, la scrittura della partitura di The Zone e tutto il lavoro di comunicazione tra Spassov e Bargeld nei loro paesi prima delle prove in Italia) le cose gradualmente prendono forma in un percorso che, la sera del concerto, ti lascia con la consapevolezza che ormai lo spettacolo è affidato esclusivamente al valore artistico delle persone sul palco. È una bella sensazione, ma anche la fine della fase più emozionante di chi organizza.

In particolare, per questa produzione, l’elemento chiave è Daniele Del Monaco, un compositore geniale e intelligente (doti sporadicamente in coppia) che da sempre vive la musica in tutte le sue declinazioni, dal contrappunto al r’n’r’. Una rarità. Con un musicista del genere era naturale costruire un progetto di questo tipo, non parlerei di sfida.

Mescalina: A partire dal contesto in cui il progetto sarebbe stato eseguito – un centro commerciale – quali diktat ti sei imposto perché fosse portato in scena nel modo più coerente possibile con l’ambiente?

VBS: Il concerto è un momento denso di significato, a volte diventa un rito. Ovunque si tenga uno spettacolo musicale, l’interazione col luogo è molto importante, sul piano funzionale e simbolico. Essere in una Food Court di un centro commerciale pone almeno tre riflessioni: perché fare musica in questo luogo, come gestire dei contenuti di un certo tipo con la portata simbolica di un centro commerciale e di alcuni suoi elementi specifici (pensiamo alle insegne dei negozi/ristoranti, alle scale mobili in funzione, ecc.), come rapportarsi con un spazio scenico e acustico complesso e in parte inadatto.

La prima questione me la sono posta quando mi hanno assunto al Campania 4 anni fa e mi fu chiesto di portare contenuti di un certo tipo in un centro commerciale di Marcianise (vivevo a Roma). Considerai la proposta interessante soprattutto per il modello di finanziamento degli eventi e il ruolo nel tessuto urbano/sociale di un centro commerciale in questo territorio.

Rispetto alla prima questione ci sarebbe anche un discorso sul rendere disponibili certi contenuti in contesti in cui si viene a contatto con persone che probabilmente non frequentano i locali o i teatri del centro di Caserta e Napoli. Con tutte le dovute distinzioni per ogni singolo caso, potrebbe essere un argomento interessante, ma un concerto con Blixa Bargeld e Theodosii Spassov non è certo un punto di partenza, dovrebbe essere l’approdo di un percorso. Sono altri i progetti in corso al Centro Campania che rispondono a queste esigenze. In quattro anni di attività al centro commerciale, non ho mai visto le famose persone col carrello che al ritorno dal supermercato si sono fermate a sentire il concerto, eventualmente questo succede per personaggi/musicisti/comici che vengono riconosciuti, ma innescare la curiosità di un passante, per strada come nel centro commerciale, con contenuti non riconoscibili è praticamente impossibile.

La seconda è la questione più delicata e implica riflessioni e teorie che su consumo/identità/società/cultura/commercio creano dibattitto dalla seconda metà dell’800. Credo che il rapporto tra identità/tradizione/innovazione sia alla base delle tensioni create da certe operazioni in questi luoghi. In ogni caso, nel proporre agli artisti un concerto in un luogo non convenzionale e carico di significato come un centro commerciale i pensieri sono molti e spesso si discute con il musicista del suo gesto e del valore che può assumere. Con degli estremi come quello di Del Monaco, che ha scritto una collezione di canzoni in qualche modo dedicata a un luogo peculiare come la Zona, ossia il centro commerciale.

La questione scenica/acustica è più tecnica che teorica. Abbiamo fatto molto per migliorare il suono di uno spazio che durante la giornata deve assolvere molteplici funzioni (considera la cupola della Food Court: la luce naturale è piacevole, ma il vetro dal punto di vista acustico è un incubo). Ci sono ulteriori progetti per il futuro. Musicalmente, quando c’è l’ambizione di portare generi musicali che richiedono concentrazione e attenzione da parte del pubblico, bisogna entrare nel merito e fare delle scelte: un quartetto di percussioni che suona John Cage va bene, un quartetto d’archi, magari acustico, che esegue Mozart non andrà mai bene e con esso, per esempio, un concerto tributo a Nick Drake. Non è solo una questione di acustica, ma di stimoli visivi e di spazi.

Mescalina: Questa è la seconda stagione di “Non Luoghi Musicali” e si diversifica dalla precedente perché hai “commissionato” la creazione di opere inedite da affidare successivamente ad alcuni interpreti. Secondo quale principio hai messo insieme gli artisti?

VBS: La maggiore innovazione di quest’anno è la commissione di opere originali. L’idea nasce dalla convinzione che un festival deve essere un momento straordinario in cui la somma degli elementi crea qualcosa di eccezionale, non soltanto una contiguità spaziale e temporale. Se un festival è concepito soltanto come un momento in cui si concentrano i tour degli artisti in un luogo, allora di sicuro diventa un’importante occasione di contatto tra i musicisti e il pubblico, a volte un volano per l’economia locale, ma dov’è il sottile filo rosso che sottende la straordinarietà del progetto? Dov’è la “morale della favola”?  Se sei nel mondo della produzione artistica, la “morale della favola” è importante. Cosa c’è di più straordinario della produzione di musica originale, mettendo insieme artisti che non hanno mai lavorato insieme, creando, quando possibile, gli spettacoli sul territorio?

Dunque, c’è l’aspetto della produzione e poi c’è l’idea di mettere due (o tre o quattro) personalità artistiche in condizione di lavorare insieme. C’è anche un tentativo di portare gli artisti a lavorare sul territorio, un’occasione per creare relazioni tra la scena locale e musicisti nazionali e internazionali. Il criterio con cui abbiamo abbinato gli artisti non è unico, anzi, ogni concerto ha una sua storia. Con i compositori forse è più facile: il compositore, tra le figure operanti nel mondo dei suoni, è quello che sa mettere le mani nella materia musicale muovendosi con totale libertà, e, allo stesso tempo, è in grado di comporre “a programma”. Non mi dilungo, ma è bene tenere a mente il rapporto che esiste tra libertà artistica e lavoro su commissione, la relazione tra regole e libertà è il criterio su cui modulare progetti come questo (personalmente lo trovo uno degli aspetti più interessanti di tutta l’operazione). Poi ci sono gli arrangiatori che magari la musica la pensano a partire da uno strumento, ci sono gli “elettronici” che vivono la creatività in maniera completamente diversa (magari non sanno suonare un “classico” strumento musicale), ci sono i cantanti in cui la musica si fonde al carisma, allo stile e a tutto ciò che rende la musica leggera un fenomeno in cui l’extramusicale ha un ruolo importante. Allora, con figure così diverse ogni produzione diventa un’esperienza totalmente differente. Pensa al concerto in cui i Jennifer Gentle hanno interagito con degli automi.

Mescalina: Cucire su misura per un centro commerciale e per il suo pubblico una serie di spettacoli inediti è stata anche un’operazione di riscatto per un luogo destinato essenzialmente ad altro? Sembra quasi un’operazione che mira a dare al posto una dignità diversa da quella di mero luogo di consumo.

VBS: È una prospettiva precisa quella che assegna il minimo valore al centro commerciale (che ha bisogno di riscatto perché è un “mero luogo di consumo”) e un alto valore alla produzione di spettacoli inediti (immagino, perché è arte e forse per la rarità di queste occasioni) che nobilitano il luogo del commercio. Adesso capovolgiamola: il centro commerciale è una delle poche strutture che oggi in Italia produce concerti inediti. A quale prezzo per il mondo della musica e per il pubblico? Dal momento che tutti sappiamo che il fenomeno non è riducibile a un’azione di marketing e comunicazione, potremmo iniziare una riflessione che investe da una parte il ruolo sociale e il valore relazionale dei centri commerciali e dall’altra il rapporto tra musica e commercio, basta pensare al fatto che gli eventi “in-store” sono oggi uno dei metodi più efficaci per vendere dischi.

Mescalina: Un’anticipazione sui prossimi live?

VBS: Ci saranno artisti molto diversi, ogni collaborazione presenta caratteristiche proprie. In questi giorni abbiamo finito di selezionare i musicisti che lavoreranno con Raiz alla partitura di Yotam Haber. È stato un processo lungo perché, se gli ascoltatori si dividono in centinaia di categorie e ognuno di loro “chiede alla musica” qualcosa di diverso, gli interpreti sono ancora più variegati. C’è quello classico che legge benissimo le partiture ma non sa improvvisare, c’è il jazzista che “ha swing” ma non è duttile, c’è il musicista rock (quale rock?) che ha un’attitudine spesso non compatibile con altre storie di vita musicale. In questo caso, i musicisti devono saper leggere la musica, confrontarsi con il carisma di Raiz, suonare brani che nascono da materiale musicale antichissimo elaborato da un compositore con una spiccata personalità. Non un lavoro per tutti.

Mescalina: Se guardi alla scorsa edizione e a quella di quest’anno, mi dici chi vuole essere Valerio Borgianelli Spina per il Centro Commerciale Campania?

VBS: Cerco di far convivere le mie aspirazioni in un contesto che mi dà gli strumenti e una certa libertà, a patto di gestire le risorse coerentemente con le finalità di chi le mette a disposizione. Niente di particolarmente originale. Poi, mi diverto a sperimentare metodi: uno degli obiettivi più importanti nel mio mestiere è gestire processi, ossia mettere d’accordo persone per arrivare a un risultato. La cosa mi piace anche perché ha una sua celata dimensione politica. Quindi, nella gestione dei progetti che porto avanti al Campania, mi interessano i contenuti almeno quanto mi appassionano i metodi.